Avevamo fatto un voto. Non parlare mai più del premio Strega. Per non sembrare gli editori che odiano… quelli rosi dall’invidia, che vorrebbero partecipare al festone al Ninfeo di Villa Giulia ma i buttafuori ci rimbalzano con una scusa qualsiasi, quella del dress-code probabilmente. Ma ci si legge in faccia che siamo solo dei morti di figa. E quindi ci mettiamo fuori a criticare, avvertiamo gli altri ospiti che dentro la musica fa schifo, che è meglio lasciar perdere. Ma quelli tirano dritto, sono tutti bellissimi, vestiti bene, sanno che è tutto curato nei minimi dettagli. Così noi rimaniamo lì a mangiarci le mani, tentiamo di scavalcare, ma le ringhiere sono troppo alte e uno dei nostri rimane ferito, arrivano i buttafuori con le cuffiette tipo Matrix, sono fortissimi e noi ce la diamo a gambe lasciando il nostro uomo a terra, perché siamo delle merde e lui è solo un correttore di bozze sostituibile. Speriamo che non parli, che non dica che lavori per Gog ma che ingoi la pillola di cianuro che ognuno di noi ha incapsulata sotto il molare, come exit-strategy in caso di figuracce o di incontri indesiderati con aspiranti scrittori che hanno un “libro nel cassetto” [siamo un paese di cassettiere, di gente con libri nei cassetti]. Che immagine triste, Cristo Santo, siamo delle persone oscene. Ma per fortuna le cose non stanno proprio così, la verità è che ai buttafuori gli meniamo male. No la verità è che gli scrittori italiani sono tutti più o meno brutti e vestiti maluccio e sono davvero pochi quelli che hanno stile. Parliamoci chiaro. Desiati sembra Charlie Chaplin in versione lgbtq+, Scurati assomiglia a un pinolo. Paolo Cognetti è un Mauro Corona con il pisello moscio. Emanuele Trevi sembra un’altalena rotta abbandonata in un parco. Sandro Veronesi invece è fico, nulla da dire. E questo solo per citare gli ultimi vincitori. Se rompiamo questo voto, è perché parlarne ci diverte assai. È così succulento lo spettacolo annuale del degrado della nostra editoria. Offre così tanti spunti a questa newsletter in cui gli argomenti latitano. E poi sì, noi odiamo pure. Ma odiare fa bene, lo diceva Cioran “Si è finiti, si è morti-vivi, non quando non si ama più, ma quando non si odia più. L'odio conserva: è nell'odio, nella sua chimica, che risiede il «mistero» della vita. Non per caso è il miglior ricostituente che sia stato trovato fino ad oggi”. Ma stavolta non parleremo del premio in sé: ci ha già pensato Gianluigi Simonetti nel suo bel libro Caccia allo Strega. Anatomia di un premio letterario. A questo link una bella intervista rilasciata dall’autore. Vi proponiamo invece 5 stereotipi di libri che si alternano in cinquina negli ultimi anni. I 5 libri-tipo che bisogna architettare per accaparrarsi il premio. Non è del tutto esaustivo, sicuramente ci è sfuggito qualcosa. Rimedieremo in futuro.
1. Libro Netaflix
Editore intima allo scrittore: trova la storia di una famiglia italiana che ha fatto cose. Crea l’epopea, la saga-sega infinita. Banalizza, plagia, imita i plot twist di Beautiful, condiscilo con un po’ di scazzi familiari, successi e insuccessi, crisi e rinascite e poi andiamo dritti con il libro in mano a bussare a Netflix (o Amazon, Rai, Sky). Libro architettato meticolosamente per diventare una serie.
2. Libro impegnato
Vai su Google Trend. O sui trend di Twitter. Prendi un tema d’attualità, quindi sostanzialmente un non problema che i giornali creano per vendere copie, allineati su una posizione di comodo, quella fastidiosa abbastanza da indignare la maggioranza che non ha mai aperto un libro e che non conta un cazzo ma da piacere alla minoranza che però detiene il potere culturale. Fai approvare la tua ribellione dal premio più istituzionale d’Italia, prenditi gli applausi della critica, gli omaggio del jet-set, un programma in prima serata, una colonna dedicata al tuo ego su Repubblica. Tutto cambia ma niente cambia, a parte la macchina nuova, se ti va bene.
3. Libro Nonduce
Non hai idee? C’è sempre il Fassismo. Business dei business, il fascismo vende sempre, vende da anni (rappresenta il 14% del Pil italiano) ci si sono comprati casa a Capalbio quasi tutti i nostri giornalisti e scrittori. Basta ambientare il tutto quando c’era LVI.
4. Libro Deprella
Stucchevole, melenso, al centro ha un tema che riguarda il dolore: malattia, lutto, suicidio, amore tossico, omicidio, magari anzi meglio se ispirato a una storia vera, e vai giù pesante con i lacrimoni. Recalcatismo applicato, psicologismi di circostanza, livello di introspezione: 100 vetrine. Ci si ferma a fare snorkeling sulla superficie dei moti dell’anima. Quando viene recensito gli aggettivi più abusati sono: disturbante, spiazzante, stordente. Uno scaccia cani in pratica. In genere lascia tutti più o meno indifferenti. Però la copertina è bellissima.
5. Libro Machicazz
Le 5 case editrici che solitamente si steccano il premio, quest’anno sono in stallo messicano. Hanno vinto tutti, da anni, sempre gli stessi. Il premio se lo cucca un esordiente a cazzo di cane con un romanzo mediocre ma che non scontenta nessuno e dà una parvenza giovanilista e meritocratica allo Strega. Chi cazzo è? Nessuno lo sa. Tornerà nell’oblio.
Poesie a buffo
Lo scopo della vita è amare
Tutti lo dicono, tutti lo sanno
Le tue parole sono inutili
Non sento più il tuo corpo fragile
E lo scopo della mia vita si cancella
Qui davanti, alla torre Montparnasse
I cui piani al rallentatore
Si illuminano come un sogno sommerso.
Attraversiamo il centro commerciale
Come una busta iridata
Le cui stimolazioni nervose
Delimitano un destino brutale.
È la nostra vita, è la nostra morte
Che si disegna sulle reti urbane
La città nutre i suoi carnefici
E il disgusto riempie i nostri corpi.
Esperienze inarticolate
Compro riviste pornografiche
Riempite di fantasmi crudeli
Alla fine, è necessario eiaculare
E addormentarsi come carne
Su un materasso sfondato
Bambino, camminavo nella pianura
Raccoglievo fiori ricurvi
E sognavo il mondo intero
Bambino, camminavo nella pianura
La pianura era dolce sotto i miei piedi.
Michel Houellebecq, da Il senso della lotta
Scuola Palis
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Amir, quanto è bigotto e cattivo l’Iran? Quanto è orribile la terra in cui sei nato? Che schifo… puuu. La tradizione è pupù. E tu sei tanto moderno, e bello, e lello. Nei tuoi occhi verdi, due smeraldi, si nasconde l’enigmatica profondità delle persone sensibili. Amir hai 35 anni, e delle volte fai pensieri strani e con una mano una mano ti sfiori, tu solo* dentro la stanza e tutto il mondo fuori. A che cosa pensi Amir? Lontano dagli occhi di papà (fucking monster) / Solo tu lo sai / Forse pensi alla libertà (freedom) / che non hai (hope). Tuo padre, quell’orribile orco con i denti brutti e la barba poco curata, che fuma così tanto, ti ha picchiato anche questa notte, eh? Ti è salito addosso, si è spogliato quel monster, ha tirato fuori la sua sciabola, e tu hai dovuto far finta che ti piacesse (hope). Quel coltello sul tavolo lo hai guardato, accidenti se lo hai guardato… volevi penetrarlo tu questa volta, con quella lama. Ma hai resistito, perché sei buono, e perché tua mamma, poco prima di gettarsi in quel dirupo (che famiglia di merda che hai Amir), te lo ha fatto promettere! You must promise me… Go to London. You will be safe there. Amir, è l’ultima volta che tuo padre ti starà così accanto, è l’ultima volta che ti abbraccerà con le sue spine velenose, con le sue spire vomitose. È l’ultima volta che poggerà la sua bocca peina di fumo sul tuo ginocchio. Lui non lo sa, ma in quel cassetto (drawer) hai un biglietto per Londra (London). E parti domani (Tomorrow) e lì ti aspetta Kevin (Kevin) con i suoi capelli rosso cuore. L’unico uomo che hai amato, il primo uomo ad averti amato. Finalmente sarai libero di essere te stesso… principesso.
«Se gli uomini nascessero uguali, inventerebbero la disuguaglianza per ammazzare la noia».
Nicolás Gómez Dávila, "Escolios"