#8| La newsletter di cui non hai alcun bisogno
una newsletter che ti farà perdere tempo prezioso, che potresti dedicare a cose ben più importanti, agli affetti, alla lettura, a momenti di raccoglimento interiore o di riflessione e crescita persona
Abbiamo finito le idee e la voglia. Questa newsletter ci sta rovinando la vita. Tutti i lunedì poi, ma perché abbiamo scelto proprio il lunedì, il più infame dei giorni? I nostri capelli si diradano, le nostre vite vanno a rotoli, abbiamo un erpes in faccia a forma di Padiglione 3 dopo il Salone del libro di Torino. I pranzi della domenica sono diventati un incubo. Dopo il caffè parte il countdown per l’uscita della newsletter. Le nostre ragazze ci vogliono lasciare, i nostri genitori non riconoscono più i loro figli pelati. Perché abbiamo deciso di sottoporci a questa tortura, noi che avevamo fondato questa casa editrice proprio per scappare da qualsiasi impegno o responsabilità professionali? Chi tiene una newsletter settimanale, specie se aggratis, è chiaramente un disturbato, un mitomane, una persona da evitare. Eppure, oggi, ce l’hanno tutti. Il fioraio sotto casa ha una sua newsletter. Il tappezziere ha una newsletter. I giornalisti poi ne hanno 2 o 3. Gli aspiranti giornalisti 5 o 6. Le aprono così, come dei piccoli paracaduti individuali per il proprio ego, oggi che i giornali non garantiscono più la visibilità di un tempo. E magari riescono a convincere qualche lettore a pagarli. Ma che differenza c’è con l’aprire un canale su Onlyfans (a parte gli introiti)? Cosa cambia tra mettere a nudo il proprio corpo o la propria intelligenza? Tra far vedere i piedi e stare a rovistare una settimana tra i propri riferimenti culturali alla ricerca della citazione migliore, l’analisi che non ti aspetti, la notizia wow, la storiella un po’ underground che ti rivendi all’aperitivo? Sono piedi anche questi. Anche le nostre analisi sono dei piedi e voi vi leggete dei piedi. Siete dei chiromanti dei piedi, dei podomanti. Le newsletter sono i piedi dell’intelligenza.
La nostra newsletter soffre chiaramente di schizofrenia. Forse si chiama Preferirei di no anche perché preferiremmo non farla. Ma allo stesso tempo ci piace, perché siamo dei mitomani, dei disturbati, delle persone da evitare, e di piede portiamo 45, quindi su Onlyfans faremo la fame. Detto questo volevamo farvi entrare un po’ nell’ultimo numero del Bestiario, di cui siamo beceramente fieri. Un numero che nasce come trascrizione fedele di Teleamore, una tv improvvisata dal comitato direttivo della rivista, che nelle balere più losche e infami di Roma, la notte, video-interrogava sconosciuti e sconosciute annebbiati dai fumi dell’alcol sui temi cari alla rivista: amore, coppia, fedeltà, tradimento, sesso. Teleamore ha scansionato il bassoventre di una o due generazioni di uomini e donne messi in crisi dalla liberazione dei costumi, StudioAperto e Aletta Ocean (gli uomini almeno), ha raccolto testimonianze fondamentali, ha prodotto teorie improbabili, incerti stratagemmi di salvaguardia delle relazioni, escamotage impossibili per sopravvivere alla vita di coppia, ma anche tante, troppe verità. Oggi è diventata la rivista che potete leggere, a soli 9 + 1 euro, su carta, cliccando qui sotto.
Tua madre è meglio di Tinder
dal numero 18 del Best
A tutti quei ragazzi e ragazze che si scaricano app di dating in cerca dell’uomo o della donna ideale con cui condividere la propria vita, noi diciamo: chiedete a vostra madre. Sì, la madre. Algoritmo perfetto, con capacità di previsione dei nostri comportamenti ineguagliabile. Le app di incontri, per quanto possano essere perfezionate, valutano il nostro profilo in base a un form che compiliamo probabilmente mentendo e all’analisi degli interessi che in realtà non ci interessano quando bazzichiamo sui social annoiati nel tragitto tra casa e lavoro. Insomma su un noi parziale. Sanno chi siamo grazie a uno spettro di informazioni limitatissimo, perché è quello che forniamo noi, volontariamente o meno. E la maggior parte delle volte nessuno di noi sa cosa vuole. E ancora più spesso quello che vogliamo alla fine ci ripugna. Quindi esaudire i nostri desideri è la ricetta della nostra infelicità. L’algoritmo-madre invece, ha accesso a un’altra dimensione del nostro io, una dimensione totale, profonda, viscerale, essendoci tra madre e figlio il rapporto che sussiste tra Creatore e Creatura. Lei vede oltre il nostro desiderio transitorio, ben al di là della passione fugace, dell’invaghimento momentaneo, di quel taglio di capelli che credevamo eterno e di quei capi d’abbigliamento che quasi subito abbiamo dismesso ma che per un attimo abbiamo creduto essere il “nostro stile”. Lei discerne ciò che in noi è stabile da ciò che in noi muta, conosce le leggi che ci muovono esattamente come Dio conosce il cuore dell’uomo. Sa ciò che per noi è giusto e quando ci lascia sbagliare è per avere ragione a tempo debito, quando sarà il giorno del suo giudizio universale. La vita di un figlio è un lento e inesorabile rassegnarsi a questa verità che di anno in anno si rivela, e contro cui inutilmente abbiamo combattuto in età adolescenziale. Perciò non appaltiamo a questi nuovi strumenti quella che è una funzione sociale di primaria importanza e da millenni delegata alle madri. Quella di indicarci la donna della nostra vita. Alla madre basterà uno sguardo, una semplice e banalissima chiacchierata con lei. Il suo non sarà giudizio etico né estetico, ma valutazione tecnico-astrologica a noi inintelligibile, in cui vengono combinati dati economici, sociali, geografici ed etnico-religiosi sussunti in un millisecondo da movenze, inflessione della voce, indumenti, acconciatura, dettagli minimi a noi ignoti, con parametri puramente sensitivo-emotivo-umorali, la cosiddetta valutazione “a pelle”. Presentiamole dunque le donne papabili, e assistiamo all’avvento di questo piccolo miracolo, in attesa del verdetto finale. La sua scelta probabilmente ci stupirà. Forse all’inizio non saremo convinti, e chissà che la donna che sposeremo non ci sembrerà un’estranea. Ci sentiremo come Abramo che non capisce perché il Signore gli ha chiesto un sacrificio così grande. E poi un giorno qualsiasi, basterà una parola, un gesto qualunque, il più insospettabile dei gesti e tutto tornerà al suo posto. Era lei. Per anni era sempre stata lei e non ce ne eravamo accorti, ne dubitavamo persino. Come avremmo potuto fare altrimenti, noi che siamo vincolati all’essere soltanto noi? Nostra madre, invece, erano secoli che lo sapeva.
Contro il trapianto di capelli
sempre dal numero 18 del Best
In un numero della rivista dedicato alla Nostra Signora Bruttezza avevamo difeso a gran voce il popolo degli alopeciati, degli stempiati, dei pelati. Ci sembravano e ci sembrano una categoria umana forte, consapevole di fatti della vita che i capelloni non hanno avuto né avranno mai la fortuna di assaporare. Ora qui vogliamo invece puntare il dito contro chi, tradendosi, ci ha traditi; chi in un momento forse buio della propria esistenza è stato talmente pavido da fare una scelta “coraggiosa”: il trapianto di capelli.
David Beckham, Nadal, Antonio Conte, Elon Musk, John Travolta, Nicolas Vaporidis! Ecco solo alcuni degli eroi che ad oggi rinneghiamo, e la lista è lunga! E quanti amici hanno già abbandonato la nostra nave… Perché il trapianto di capelli a noi del Bestiario sembra una vera e propria impostura, fatta prima da chi sceglie la via del trapianto e perpetuata poi dal trapiantato stesso nei confronti degli altri. Partendo già dalla miseria dell’operazione. Spediti in Turchia per il cosiddetto “turismo sanitario” con un pacchetto simil Disneyland completo di volo + hotel + trattamento, operati da un tassista siriano o un sedicente dottore specializzato in FUE (Follicular Unit Extraction) che disegna sulla nostra testa una mappa tratteggiata come un campo militare inventandosi confini e nuove rotte capellari; torniamo a casa con un cranio devastato da minuscole cicatrici e un percorso davanti di minimo 8 mesi fatto di sanguinamenti, docce impossibili, fasciature a turbante, accompagnati dall’idea che i capelli della nostra nuca siano stati trapiantati sulla nostra fronte come in uno strano giro al gioco delle sedie. E questo travaglio per cosa? Per un risultato nella maggior parte delle volte pessimo, e con un artificio talmente evidente da rendere ancora più ridicolo il calvario passato e chi ne porta in capo i segni. Perché il trapianto di capelli è sempre una maschera, un trucco ben congegnato. E come tutte le maschere, una volta indossata, non c’è modo di fuggire al proprio personaggio. Avvisiamo infatti tutti i neo-trapiantati o chi è indeciso se accettare o meno il succulento pacchetto turco: la sindrome dell’impostore non vi abbandonerà! Una volta tornati non servirà a nulla rielaborare in veste giovanile il vostro guardaroba, comprarvi una giacca di pelle o una macchina sportiva, o addirittura diventare improvvisamente intrepidi e sicuri di voi. No! L’impostura che il vile denaro ha comprato non passerà mai inosservata: perché sarà sempre stampata sul vostro volto, come l’anima negli occhi. I vostri sorrisi civettoni, lo sguardo ora interessante ora pensieroso, il buon umore perenne non ci fregheranno mai. Avete tradito i vostri fratelli scapellati, avete scelto la via del denaro, siete andati contro i misteriosi disegni della natura. Perché siete pelati e così resterete, sempre!
Poesia a buffo
La tragedia dell’amore
perduto sta forse
nel non ricordare più
il tuo orecchio
come gira bene dentro la conchiglia
nell’inimmaginabile pasta del lobo
se è grande o meno quanto una rosa
chiusa se è rosa quanto una rosa aperta
che vorrei correre da te
solo per riguardarlo
ancora e riuscire poi
a dormire.
Il disamore confinato nei dettagli
che non tornano
è umiliante
per chi non vuole perdere
niente
quando sorprende al minimo
vagheggiamento nella buonanotte.
E se la tua immagine si sgretolasse
a pezzi a morsi ingordi
nel tempo
e se l’orecchio perso nelle pieghe
della memoria
fosse l’inizio della fine
come potrò io non dimenticarti
tutta
io che non so nemmeno disegnarlo
un orecchio?
Andrej Chinappi, 49