Una volta usciti dalla distribuzione e dal mondo della cultura in generale – dove ci puoi stare sì, ma solo se rispetti il galateo, se paghi il dazio alle fiere, se hai gli amici giusti che scrivono sui giornali, se tuo cugggino sta nella giuria dello Strega, se hai un distributore, un promotore e degli autori con l’agenda editoriale gonfia – temevamo di annoiarci. Temevamo di non riuscire più a scovare autori disposti a correre il rischio di pubblicare libri con una casa editrice ai margini del marginale. Temevamo che i lettori non si fidassero più di un marchio che non sta in libreria. E da qui a finire in una roulotte con un cappello di carta stagnola e aprire un canale youtube dove sbraitare in mutande contro il 5g e la lobby occulta dell’editoria, è un attimo. Invece ci divertiamo. Tutto sommato si sta bene qui fuori, c’è aria buona e il distributore bulimico non ti incalza chiedendoti novità su novità, così vuole la logica illogica della logistica, che ha bisogno di spostare cose, più cose possibili per sopravvivere. Non c’è il promotore che ti chiama per chiederti quando uscirà la recensione, la marchetta, il servizietto in tv, credendo ancora che siano queste le scorciatoie per il successo. Non dobbiamo più pagare gli Isbn, e sporcare i nostri progetti grafici con quei piccoli codici a barre che riducono i nostri libri a prodotti da hard discount. Abbiamo infatti deciso di fare altro della nostra breve esistenza che darla in pasto a burocrazia, logistica e amichettismo: il cane a tre teste dell’editoria. Già c’è da fare la fila alle poste, la dichiarazione dei redditi, pagare la Tari, ci sono la raccomandata e la multa, c’è la meschinità della vita di tutti i giorni che incalza: almeno i libri teniamoli fuori da questo ingranaggio, è l’unico modo perché respirino. Ecco perciò quello che è successo in questi giorni, mentre scappavamo dal cerbero.
ECCE BESTIARIO
Che cos'è il Bestiario? Rivista più grande d’Italia per formato, più scomoda del mondo per ingombro, più maleducata del regno per sdegno, sfogatoio delle nostre miserie, dei nostri sogni, delle nostre ossessioni. Resoconto di una vita buttata a cercare l’impossibile (= campare grazie alle vendite di una rivista), diario intimo, confessione, fanzine del nostro ego, egozine. Ogni numero esce quando ne abbiamo voglia (a cadenza umorale dice il frontespizio), quando capita, quando la vita come uno spillo ci entra nell’occhio, quando inciampiamo dentro alla pozzanghera di un tema che ci sembra irrevocabile, dal cui scioglimento dipendono i destini del mondo e allora non ci sono più rimedi, non si dorme più la notte, tocca mettersi buone scarpe e partire, pellegrini, nottambuli, vagare nei vicoli bui dei propri tormenti, alla ricerca di una risposta che non c’è: bisogna fare il nuovo numero del Best. Ecco tutto, ecco la genesi. Chiama gli amici, gli autori di sempre, chiama i parenti, intervista il passante sotto casa, c’è quello che colleziona le Barbie, o il sosia di Renato Zero, stai sveglio quell’ora in più la sera, fai un’imboscata a casa dei nonni, che lì c’è sempre un mistero nella credenza. C’è la vita che pulsa, trasuda, ti lacrima addosso, devi raccontarla, servirla, cucinarla. Ecco cos’è il Bestiario, è un ricettario per la vita. Una vita sbagliata, ma pur sempre una vita.
Quando il Bestiario fu fondato nel 20(non ricordo) credevamo di cambiare il mondo. Ci sentivamo come i selvaggi di Maccari, i futuristi di Lacerba, un po’ Calvino e Vittorini, un po’ Frigidaire, un po’ Alfonso Signorini, insomma eravamo profondamente confusi. Adesso non ci sentiamo più nessuno, solo gli animatori (che parola oscena, da villaggio Valtour) della rivista di Gog Edizioni. Morta e poi risorta. Ogni volta.
Sempre tossico è l’amore
Quest’ultimo numero del Best è dedicato agli amori sbagliati, a quanti amano male e sono stati amati male. Si legge nell’editoriale.
L’amore non è mai condizione pacifica o serena. È il regno dell’ignoto, dove l’anima si avvelena, si altera, in preda a uno stato di allucinazione. Non si può entrare muniti di criteri quali giusto e sbagliato, sano e nocivo, vero e falso, costruttivo e distruttivo, perché è proprio qui che questi parametri si frantumano e si confondono, laddove imperano l’ambiguità, l’equivoco, il malinteso. Che ce ne facciamo, dunque, di chi vuole igienizzare ogni angolo della nostra coscienza emotiva? Di chi ci vuole in fila con la sindrome di Marie Kondo dallo psicologo di turno, per mettere in ordine i nostri sentimenti? Come possiamo incelofanare nelle definizioni antisettiche dello psicanalista del momento, o in quei vuoti anglicismi che tentano di inventariare il nostro universo emotivo (ghosting, orbiting, zombieing da ultimi), questa dimensione irrazionale, che sfugge a ogni forma di catalogazione? Ecco se queste sono le premesse, come può l’amore, così come lo abbiamo sempre vissuto, nel bene o nel male, sopravvivere nelle condizioni attuali? È ancora possibile amare, se per amore intendiamo questa combinazione imprevista di tormento e estasi, nella società del controllo, del securitarismo emotivo, dei codici di tracking affibbiati perfino ai sentimenti?
Poesia a buffo
L’odio non è che una risposta
già, dolore e odio incedono in simultanea
Perché lasciarsi intimorire dall’odio, esiste
pensa all’abiezione, è pura angoscia
non l’odio
non crucciarti per la scarsa creanza, la stessa
nitidezza ti consentirà di essere diretto
come una cuspide che affonda il colpo
da un estremo all’altro, l’empietà lascia alitare l’amore
non devi lottare per incunearti troppo in profondità
si può sempre riemergere senza codardia
un tocco di prudenza
basta ad avvelenare il cuore
non curarti del prossimo
prima di pensare a te stesso, sono reali
tutte queste cose, se le senti
saranno graziate da una sorta di reticenza
e si convertiranno in oro
Se le sentirò, saranno deviate con un sorriso
dalla tua misteriosa inquietudine
Frank O’Hara, Poem