#4| Manuale per rapire figli di influencer e vivere felici
Storia di uno scrittore fallito sull'orlo di un TSO che decide di rapire il figlio della coppia di influencer più famosi d'Italia
L'altra volta Pasquetta, poi il 25 aprile di mezzo, adesso il Primo Maggio. Neanche un mese che ci siamo presi l'impegno di scrivere questa newsletter che quando capita abbiamo di meglio da fare: abbrustolire agnelli, festeggiare la Liberazione abbrustolendo agnelli, celebrare la festa del lavoro abbrustolendo altri agnelli per dimenticarci che poi tanto liberi non siamo e che forse non abbiamo neanche un lavoro vero. Ad ogni modo, arrivati al quarto bollettino di Preferirei di no (a cui abbiamo trovato, come potete vedere nell'intro, anche un logo) è giunta l'ora di fare un po' di autopromozione come si deve e parlarvi della nostra ultima uscita. Allora siete come tutte le newsletter degli altri editori!!1!!11!! penserete voi. Ebbene sì, ma le nostre novità sono più fighe, e noi scriviamo meglio di loro. Il romanzo in questione si chiama Instadrama. Ci è arrivato per posta qualche mese fa. Scrittore anonimo, si è firmato solo come C. Palis (se ci sei batti un colpo!). Non ha lasciato recapiti. Abbiamo deciso di pubblicarlo. Perché il Signor (o la Signora) Palis, oltre ad averci incuriosito, ha qualcosa da dire, di giusto o sbagliato non ci importa, non sono questi i parametri di cui ci serviamo per valutare un'opera. In breve racconta la storia di uno sfigato come tanti, uno di quelli che si è messo in testa di fare lo scrittore, ma che sulla soglia dei trent'anni non ha prodotto né pubblicato niente di significativo. Frustrato, costretto a campare di lavoretti precari, mosso da una raccapriccinate voglia di rivalsa, da un'odio oltre misura, un rancore e un'invidia senza pari, eppure animato da un'ambizione smisurata malgrado il dubbio talento, questo giovane protagonista si decide a compiere il più riprovevole dei gesti, quello di rapire un bambino. Non un bambino qualsiasi però, ma il figlio della coppia di influencer più famosa d'Italia. Ecco la sua soluzione, la sua piccola e meschina rivoluzione individuale, ottenere visibilità facendo il primo rapimento direttamente trasmesso sui social, su Instagram per l'appunto, attraverso una sorta di transfert di follower. Questa, in breve, la trama, e ci fermiamo qui per non spoilerare troppo. Ma la cosa che conta è lo stile. Palis scrive in forma diaristica la cronaca di questo rapimento, e lo fa con grazia e crudeltà, lasciandoci annegare nel flusso di incoscienza del protagonista, chiaramente affetto da disturbi ossessivi compulsivi, e punteggiato da una serie di tic nervosi, di bug mentali scorrettissimi, tipo sindrome di tourette, piccoli vaffanculo sottotestuali al mondo. A noi ci ha gasato al massimo, ci piacciono queste cose hackerate, di chi vuole vomitare fuori tutto il trash televisivo-pubblicitario-memetico, i residui di una cultura di massa che ci ha violentato e allo stesso tempo istruito.
Le implicazioni morali e sociali (ma che cos'è il sociale?) di questo romanzo sono tantissime. Il protagonista è un eroe? È un ciarlatano? Un rivoluzionario improvvisato? Un visionario o un pazzo? Un disperato o un sognatore? E se lui, rapendo questo bambino, ci vuol far credere invano di sottrarlo al male inflittogli da genitori irresponsabili che lo hanno sottoposto a una specie di Truman show sui social, non è forse vero che anche lui ne sta sfruttando l'immagine? E a cosa ambisce poi il nostro scrittore, se non al successo individuale? Nessuna trasformazione del sistema, ma solo la rivendicazione di una fetta di torta. È questa l'ultima rivoluzione che ci è concessa in quest'era sedicente post-ideologica? Provare il tutto per tutto pur di salvarsi individualmente? Il nuovo Capitale è la visibilità? E per ottenerla, quanta dignità siamo disposti a perdere? Ecco tutte le questioni che solleva Instadrama.
Dal libro
o: «Come stai?».
Lui: «Non bene».
Io: «Come mai?».
Lui: «Mi ucciderai?».
Io: «Non lo so… spero di no sinceramente, dipende da come andranno le cose. Non ho programmato niente… in questo momento sono più confuso di te».
Sempre Io: «Posso farti una domanda?».
Lui: «Sì».
Io: «Tu ora sei famoso ancor prima di sapere che cos’è la fama. Prima ancora di aver sviluppato una coscienza vivi il sogno del 99% degli occidentali: il successo. Sei, possiamo dire senza esagerare, il nuovo Macaulay Culkin…».
Lui: «Chi è Maculkin?».
Io: «L’attore che interpreta il bambino in Richie Rich. Richie, appunto».
Lui: «Che bello!».
Io: «È un tossicodipendente che entra e esce da cliniche e carceri».
Non ha risposto.
Io: «Il punto è proprio questo. I tuoi genitori ti vogliono bene, a te e ai tuoi fratelli, davvero, perché sono dei bravi genitori, e poi, mi sembra, anche delle belle persone. Però penso che a furia di scattarsi foto si siano dissociati. Ogni giorno venite sbattuti sotto agli occhi di decine di milioni di persone… non pensano che tutta questa esposizione vi danneggerà? No, non possono non averlo capito, è ovvio. Sono io a non capire come possano schiaffare sui social un bambino di neanche dieci anni (ti ho rapito proprio per questo motivo, perché loro ti hanno erto a simbolo) senza pensare alle conseguenze che tutta questa visibilità avrà sulla tua vita, sul tuo equilibrio psicologico, sulle tue relazioni, che saranno – mi dispiace dirtelo ma lo racconta la storia dei Vip – per lo più inautentiche. Parliamo del tuo futuro: da grande sarai come Jim Carrey in The Truman Show, con gli occhi di tutti puntati su di te. Lui stava bene nel suo mondo finto, ma poi ne è uscito… ti immagini che incubo? Il tuo mondo ovattato è l’infanzia, e tra poco entrerai nell’inferno dell’adolescenza, vale a dire la consapevolezza distorta e avvelenata dai complessi. L’inferno in terra. Riesci a prevedere che cosa succederà? Questo è quello che penso io: non potrai fare una passeggiata, non potrai prendere cornetto e cappuccino al bar senza che qualcuno ti rompa le palle. Tipi fastidiosissimi e irrispettosi, esseri vomitevoli, orrendi, vorranno farsi i selfie con te, senza chiedertelo, come se fossi un monumento ambulante. Ti inviteranno dappertutto, avrai tutti accanto, ma un giorno capirai di essere solo. Solo come un cane. Anche perché così, di primo acchito, e scusa se te lo dico, con questo tuo fare spocchioso non mi sembri la persona più simpatica del mondo. E quindi passiamo al lato psicologico. Solo, triste, esaurito, arrabbiato come Justin Bieber in piena pubertà, forse anoressico, bulimico, emo, gay, eroinomane, poi di nuovo etero, poi trans, come Elliot Page, nato Ellen Page, che cambia genere perché tanto non esiste sesso, ma allo stesso tempo cambia nome per averne uno adeguato al suo nuovo sesso. Passerai dai migliori psicologi di Milano, che sono poi i peggiori. Per non sentire il vuoto che porti dentro, starai sempre incollato al telefono, il dispositivo che il vuoto te lo ha creato, oppure sospeso nel multiverso con degli Oculus di ultima generazione. Ti chiuderai nella bolla del virtuale, dove non esiste il male del mondo, dove non esistono i parassiti come me che vogliono vivere di visibilità riflessa attraverso di te. Sarai in pace, finalmente in pace, ma solo perché nella tua pace non ci sarà la vita: i tuoi migliori amici saranno dei codici, il tuo partner un ologramma, il tuo cane una GIF, ma dentro di te, lentamente, qualcosa morirà…».
Siamo stanchi dei libri carini
Siamo stanchi dei libri carini, dei libri fotogenici, dei libri che ci riappacificano con il mondo, dei libri che ci tranquillizzano, dei libri che ci mettono ordine dentro, dei libri che stanno bene a scaffale, che si addicono ai colori delle pareti di casa, dei libri da plaid, libri che possiamo raccontare in due parole, che hanno una trama semplice e lineare, che hanno personaggi monodimensionali e senz'anima, come burattini, macchiette, stereotipi. Come si fa a rompere le mura del perimetro in cui il libro è stato confinato? Perché lo abbiamo ridotto a oggetto di design, di arredo, a strumento in grado di "aprire la mente" (una formula vuota), o ancora a semplice mezzo di intrattenimento? Basta con questi libri motivazionali, posizionali, che cercano di essere di tutto meno che dei libri, e che a forza di rincorrere gli altri medium, a voler essere immediati come i social nella comunicazione oppure costruiti come una serie Tv, finiranno in breve per essere obsoleti. Perché, infatti, dovremo scegliere un libro invece di guardare Netflix, se tanto il libro non ha più quella profondità che gli è propria, ma adotta gli stessi moduli narrativi di una serie, o lo stesso linguaggio di un post su Facebook? Se un libro non è più in grado di "agire su di noi come una disgrazia che ci fa molto male, come la morte di uno che ci era più caro di noi stessi, come se fossimo respinti nei boschi, via da tutti gli uomini, come un suicidio, un libro dev’essere la scure per il mare gelato dentro di noi» (Kafka)? Abbiamo bisogno di libri profondi, incollocabili, incatalogabili, quelli che disorientino un libraio quando deve sistemarli a scaffale, sotto un determinato genere. E così pure noi, quando dovremo trovargli una collocazione tra le nostre convinzioni, saremo costretti a sconvolgerle: è l'unico modo per sconvolgere anche l'ordine del mondo, è l'unico modo perché i libri rimangano una tecnologia all'avanguardia, in grado di creare quei conflitti di cui nessun altro mezzo è capace.
Poesie a buffo
Chi sogna di più, mi dirai —
Colui che vede il mondo convenuto
O chi si perse in sogni?
Che cosa è vero? Cosa sarà di più—
La bugia che c’è nella realtà
O la bugia che si trova nei sogni?
Chi è più distante dalla verità —
Chi vede la verità in ombra
O chi vede il sogno illuminato?
La persona che è un buon commensale, o questa?
Quella che si sente un estraneo nella festa?
Fernando Pessoa