#30| A cosa stai pensando?
Iperteca #1 | Junkopia, il programma ufficiale | capitalizzare anche le scuse - un videocorso di Chiara Ferragni | il business della filantropia
IPERTECA #1 | A cosa stai pensando?
Con la prima Iperteca, il dipartimento poetico-visuale della casa editrice GOG inaugura la sua attività cinematografico-allucinogena. Al link qui sotto potrete vedere il video integrale. Seguiranno altre #9 Iperteche, che verranno proiettate in anteprima nel corso dei prossimi 9 incontri organizzati al @contemporarycluster, in occasione della rassegna JUNKOPIA.
L’iperteca è un non ben definito genere poetico-visuale in via di sperimentazione ma rigorosamente non sperimentale.
Ma che succede a Junkopia?
Junkopia è una rassegna di eventi organizzata da Gog edizioni negli spazi del @contermporarycluster, a Palazzo Brancaccio (Via Merulana 248, Roma)
IL PROGRAMMA
> 10.12.23
FUORI DALL’IMPERO
Intro. Benvenuti a Junkopia. A cura di Gog Edizioni
> 14.01.24
TUTTA LA STREET ART È PROPAGANDA?
L’arte di strada dall’illegalità al mainstream, dallo spontaneismo al marketing pubblicitario, dal cazzeggio al moralismo
Vincenzo Profeta (Laboratorio Saccardi) & Marco Ubertini (Hube)
> 25.02.24
LA STANCHEZZA DEGLI IMPERI
Potenze, popoli, dèi
A cura di Dario Fabbri
> 03.03.24
NOSTALGHIA®
Sull’uso capitalistico dei sentimenti tristi
A cura del Bestiario rivista
> 17.03.24
COSA SOGNA L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE?
Nell’inconscio della macchina
A cura di Edoardo Camurri
> 07.04.24
PORNOBLIO
Sessualità e biopolitica
Talk a cura di Andrea Nicolini
> 21.04.24
LA NAPOLETANIZZAZIONE DI TUTTO
Sul divenire Napoli dell’Italia
A cura di Gog Edizioni. Letture da “Scende giù per Toledo” con Tommaso Ragno
> 05.05.24
I POETI BALLANO MALE
Impresentabili, infrequentabili, inarrivabili: i poeti e il loro tempo
Talk a cura di Davide Brullo. Live performance di Daniele Mattei
> 26.05.24
BUGIARDINO DI GUERRIGLIA CULTURALE
Come perculare il bel mondo intellettuale e vivere felici
A cura di Gog Edizioni
> 02.06.2024
APOCALISSE DIXIT
Entrare il libreria ti disorienta, ti atterrisce, ti snerva? Non ne puoi più delle colonnine con le novità sempre uguali di Panza, Cazzullo, Baricco? Delle fascette iperboliche? Degli incensamenti ingiustificati? Di libri già scaduti? Basta con il previsto, il già detto, il già scritto, il già venduto. Fai un salto nell’ignoto. Abbonati a Geminga, la collana che non esiste. Otto libri l’anno. Inediti. A scatola chiusa. Non vi riveleremo titoli né autori.
Sui ricchi che piangono, si scusano, si lamentano, ci costringono a empatizzare anche con i loro errori e i loro magheggi, avevamo già parlato in un’altra newsletter. Ma l’affaire Ferragni-Pandoro riapre la questione, facendo rabbrividire anche il compianto C.Palis, autore anonimo e spinoso di Instadrama, il libro perfetto, lo sberleffo letterario che avrebbe dovuto alzare un polverone, farci arricchire e subito dopo chiudere i battenti spegnendo definitivamente GOG, questa stella nera che si ostina a esistere pur non essendoci. Abbiamo cercato di contattarlo con una mail, per conoscere il suo punto di vista sul caso Balocco, certi del fatto che la sua mente disturbata avrebbe tirato fuori qualcosa di interessante da dire a riguardo. Questa è stata la sua risposta.
“Sto preparando dei pandoro sostituendo i canditi con gli ZzzQuil. Ve ne spedirò uno. Comunque tutte le cose che avevo da dire di quei due si trovano nel libro”
Per diventare qualcuno, oggi bisogna salire sulle spalle dei giganti.
O dei bambini
E dato che il Signor Palis, che ringraziamo comunque per la collaborazione, non sembra voler aggiungere altro, dobbiamo unirci al coro e dire anche noi qualcosa sul “Pandoro-gate”, uno scandalo su cui in 24 ore è già stato detto tutto, e che sta stravolgendo/rafforzando l’immagine della signora Ferragni, la polena 2.0 del nostro meraviglioso paese, una nave che rimane a galla quanto più imbarca acqua. Chiara, la sorella che nessuno di noi ha mai richiesto, il sogno erotico imposto, la madre di famiglia che ci tiene compagnia mentre scrolliamo sulla tazza, il vessillo di ogni cosa buona e giusta e monetizzabile, ha tirato troppo la corda su cui da anni cammina indisturbata, precipitando nella Rete e diventando essa stessa vittima del capitalismo della visibilità, il sistema che ha reso il suo nome un brand invidiato in tutto il mondo. Chiara è un Sauron non-binario super friendly, un grosso occhio azzurro con rimmel che non osserva più, ma che splende quanto più viene guardato. Mordor non è più un posto buio e spaventoso, popolato da orchi e uruk ai, adesso è una casetta piena di peluche e bambini, un attico in una contea verticale: la super-city. Frodo Beggins è la Lucarelli, Sam Gamgee è Gramellini. Smeagol è Alfonso Signorini, per nessun motivo, forse per una leggera somiglianza tra i due. L’anello non è più un anello, ma un panettone balocco, finalmente precipitato nelle fiamme dell’opinione pubblica. E cosa è successo? La grande torre è crollata? Il mondo ha perso la sua luce oscura? Siamo finalmente liberi dall’ipnosi dello schermo che ci costringe a seguire la sua vita luminosa e splendente? No, no no. Ad oggi, solo 20 follower in meno nel suo esercito che continua a contare trilioni di seguaci, una massa di persone che nonostante tutto sui social continuano a difenderla a spada tratta. E per fortuna, così noi possiamo continuare ad approfittare di lei, cercando di lucrare sulla sua immagine come delle tenie succhia popolarità che si ostinano a voler trasformare un libro folle in un caso editoriale. Confida in noi, Palis, parassita dei parassiti, abbiamo scomodato anche Tolkien… un giorno succederà. Chiaretta Macqueen, rapidissima nel vestire i trend del momento al momento giusto, ha sempre mostrato un’abilità invidiabile nel costruire la sua immagine, che tra le tante cose si fonda principalmente sulla convivenza tra opposti. In lei infatti convivono diverse anime, dentro Chiara c’è un condominio infestato, perché ogni anima deve possedere una fetta del mercato. In una foto Chiara è una madre premurosa, angelica e sorridente, che gioca con i suoi teneri bambini… ma poi ecco che in quella successiva l’influencer riappare improvvisamente sola, in intimo, posizione succinta e sguardo ammiccante. La prima accontenta tutto il pubblico femminile: bambine aspiranti influencer, ragazze sognatrici, neomamme, casalinghe emancipate, vecchiette annoiate. La seconda, la super milf con pube vedo-nonvedo victoriasecretizzata, ammicca ai desideri del pubblico maschile, che scrolla principalmente per un motivo, trovare il soggetto su cui masturbarsi.
E se è vero che solo ciò che è sacro merita di essere profanato, Chiara ha capito che per diventare il prodotto più cliccato deve prima iper-sacralizzarsi, e poi farsi divorare. E più la forbice è ampia, più il pubblico è vasto. È impossibile scappare dal suo abbraccio rassicurante. In questo gioco di specchi, in cui amore e odio, critica e consenso portano acqua al suo mulino, in cui ogni faccia nasconde un asso, Chiara è finita per tirare fuori dal suo mazzo la sola carta che da anni si impegna a tenere nascosta, quella più umana di tutte e che ci rappresenta tutti quanti: il calcolo invidualistico, un tratto della personalità imprescindibile della nostra specie, che però, nel suo caso, dovrebbe far crollare tutto il resto… ma non sarà così! Della sua gaffe, Chiara, pentita, triste, senza però riuscire a versare una lacrima nonostante gli sforzi, nel suo video su IG ha detto di voler farne tesoro, o meglio, un nuovo tesoro, un nuovo business, tenendoci aggiornati costantemente su quello che accadrà all’ospedale Regina Margherita dopo la sua donazione di un milione di dollari. Nessuno le ha chiesto di donare questi soldi, nessuno le ha chiesto di farci sapere come i suoi soldi saranno usati per i bambini dell’ospedale. Ma non è importante: lei lo vuole fare. Seduti sulla tazza, mentre produrremo il nostro di panettone Balocco, continueremo a seguire Chiara fare del bene dopo aver fatto del male, fare del male dopo aver fatto del bene, sempre seduta dalla parte della ragione, che è quella del torto, che è quella della ragione etc… etc…
Ma perché i ricchi fanno beneficienza?
Il filosofo balbuziente Slavoj Žižek, studiando il fenomeno della filantropia degli ultraricchi occidentali, sostiene che la forma economica sposata dall’1% più ricco del nostro pianeta sia una forma di “comunismo liberale”. I magnati tecnologici, i grandi squali della finanza, i nerd della silicon valley qualora raggiungano il successo economico, finiscono tutti per devolvere una parte cospicua del loro patrimonio in beneficenza, o promettono di farlo prima o poi. Il fenomeno si spiega anche grazie ai benefici fiscali che questo comporta, perché tra una cosa e l’altra risulta più conveniente che pagare le tasse. Ma c’è qualcosa di più preoccupante che rimane sottointeso. La nuova aristocrazia mondiale, tramite la beneficenza, sembra aver trovato l’escamotage retorico e pratico per giustificare la propria opulenza. Schivando la palude burocratica della cosa pubblica, la plutocrazia filantropica può investire comodamente il proprio capitale sulle cause che le stanno più a cuore, dimostrando la maggiore efficacia della loro libera iniziativa, oltre a scegliere con ciò quali siano le cause meritevoli di supporto. Non ha alcuna importanza che i disastri che richiedono questi interventi economici siano spesso conseguenze del lavoro che ha fatto arricchire in primo luogo queste persone.
Ancor più preoccupante è la retorica con cui Elon Musk giustifica la rilevanza delle proprie aziende. È noto come a più riprese, mentre salivano le quotazioni in borsa di Tesla e SpaceX, Musk ribadiva, con tono sempre più convinto, come a muoverlo fosse il desiderio di salvare il mondo. Il suo patrimonio di 220 miliardi di euro andrebbe considerato solo come un umile e imprevisto gettone di ricompensa per il suo servizio messianico. Il comunismo liberale, dunque, prevede la gestione del bene pubblico garantita non più da uno Stato accentratore in stile sovietico, con il suo potente apparto burocratico e di sorveglianza, ma una versione smart, 2.0, della mano invisibile di Adam Smith: il mercato premierà i più meritevoli e competenti, i quali perciò stesso saranno insigniti del compito di sorvegliare che il mondo non collassi e che le ingiustizie vengano eliminate o quantomeno moderate, riallocando le risorse che estraggono dai loro clienti verso le cause a loro giudizio più nobili – il tutto al modico costo di consegnare loro più del 70% del capitale circolante sul pianeta. C’è chi pensa che tutto sommato poco cambi, che il prodotto economico degli sforzi dell’umanità sia in mano a una manciata di toccati da Dio convinti di poter vivere per sempre, oppure finisca nelle tasche di uno Stato oppressore, piegato al volere della macchina economica, il risultato sarà miserabile in entrambi i casi; almeno SpaceX ci saprà dire se c’è vita su Marte. Non è tuttavia difficile vedere come il servilismo dello Stato nei confronti del capitale dipenda in larga misura dall’influenza che permettiamo di esercitare all’1% più ricco del pianeta, influenza che si giustifica anche e soprattutto grazie alla loro filantropia di convenienza. È questa catena che bisogna interrompere, è questa via di fuga dalle loro responsabilità che va sbarrata. Per tornare agli affari nostrani, dei soldi della Ferragni e di come decide di spenderli non ce ne dovrebbe fregare alcunché: a muoverla è esclusivamente l’obiettivo di alzare sempre più le quotazioni della propria immagine. Musk vende astronavi e macchine elettriche, Bezos vende astronavi e tutto il resto, lei vende sé stessa. Poco cambia. Certo, grazie al cielo l’influencer più popolare in Italia non ha alcuna voce in capitolo circa le sorti di questo pianeta, e il suo caso riproduce solo in miniatura dinamiche più profonde di come viene stregata l’opinione comune occidentale. Lungi dal meravigliarci del fatto che Chiara Ferragni abbia donato solo 50mila euro invece di 1mln, dovremmo al contrario diffidare di chiunque fa beneficenza proprio in proporzione a quanto dona. E seppure non si può argomentare che un filantropo sia necessariamente un essere umano disprezzabile, saremmo pronti a scommettere che il mondo sarebbe un posto infinitamente migliore se chiunque abbia mai fatto beneficenza non fosse mai esistito.
Le “attività culturali” sono un’invenzione dei furbi per truffare i fessi.
Nicolás Gómez Dávila, Escolios