#29| Il lavoro rende libri
Più Libri Più Libri e basta | incontri/scontri con Cattelan e Zoro | Intervista impossibile a Tlon | Cosa è successo a Junkopia?
Più Libri Più Liberi. Dopo cinque giorni di fiera questa corrispondenza suona falsa, ipocrita, stucchevole. Ma i primi falsi e ipocriti siamo noi che ci ostiniamo a partecipare, cediamo alle lusinghe di un capitalismo della visibilità che premia chi viene e penalizza chi non viene. Siamo dei deboli, tutto sommato, terrorizzati dall’indifferenza. Nonostante Geminga, l’uscita dalla distribuzione, i pipponi sull’invisibile, visse bene chi ben si nascose, poi alla fine ci caschiamo, siamo lì, con lo stand sempre rabberciato, allestito alla carlona, i libri mancanti, gli standisti latitanti, senza resti, che investiamo tutto nella Nastro Azzurro incostituzionale a 7 euro. Diventiamo sciatti, curvi, grigi, opachi, rosiconi come tutti gli altri, a elemosinare un’aliquota di visibilità, un avanzo di interesse, una fetta di culo. Ma la vera indifferenza si annida nella moltitudine. L’indifferenza prolifica nel regno della quantità. E sulla quantità si fonda la nostra editoria, sull’iperbole si fonda il format di questa fiera. L’importante è che sia di più. Più libri Più Liberi. Ma è vero? È così? Basta così poco? Non c’è più neanche bisogno di interrogarci su quali libri? Basta che abbiano delle pagine, una copertina, un autore? Basta che siano tanti, di più, sempre di più (così vuole il distributore, il promotore, un mercato che non sa più dove allocare i professionisti della cultura) e allora ci verrà consegnato il badge, il passepartout, la patente della libertà, automaticamente si spalancheranno le sue porte - libertà, libertà, libertà, più lo gridi forte più l’eco si prolunga nel nulla, perché si tratta di un significante vuoto, concetto pubblicitario, accalappia incoscienze, svuotato di significato dagli uffici marketing della Range Rover e dalle multinazionali di profumi. Più libri più liberi: boutade che fa gola a tutti quegli investitori – aziende, fondazioni, istituti – in odore di culturalwashing e a uno Stato culturale che ha tutta l’intenzione di incentivare la lettura, al fine di colonizzare indirettamente anche il nostro tempo libero, di entrare nei nostri pensieri, definire le modalità della nostra libertà, averne il monopolio esclusivo. La cultura, dalle piccole alle grandi case editrici, dai quotidiani alle associazioni, dalle ong alle proloco di quartiere, a dispetto della perennemente millantata indipendenza, ha sempre più bisogno dell’amministrazione statale, dei suoi soldi, del suo apparato filantropico-organizzativo per sopravvivere. E questa è cosa triste. È tra le principali cause della sua irrilevanza come strumento di autorappresentazione spontanea della società. La cultura è allestita. Messa in scena. Un gigantesco gioco di simulacri. Il vuoto che danza sotto la supervisione dello Stato organizzatore, che con pedanteria scolastica sollecita tutto ciò che ha parvenza culturale, spacciando l’intrattenimento per pensiero, il chiacchiericcio per critica. Immediata conseguenza è la sottrazione di qualsiasi potere performativo alla cultura. Da qui l’impotenza del libro, oggetto deprivato della sua carica eversiva. Un tempo alcuni libri erano censurati, banditi, macerati, proibiti. Erano considerati vere e proprie minacce all’ordine costituito. I libri fondavano movimenti, legittimavano rivoluzioni. Ora stiamo entrando nell’epoca della cultura parastatale, imposta a forza, mezzo di educazione e rieducazione civile, attraverso cui produrre in serie buoni cittadini, brave persone. Si accomodi in questo metrocubo, qui può leggere liberamente il suo libro ma non si allontani troppo. Meglio i trapper, meglio la droga, se solo non fosse la moda, se solo anche le rockstar con l’autotune oggi non facessero parte dello spettacolo dominante, la ninna nanna della cultura. Lo Stato promuove, valorizza, riqualifica, bonifica. Ma perché? Perché queste azioni sono dei dispositivi di controllo. Lo Stato distribuisce i pass di entrata per accedere ai suoi fondi, incentiva solo sulla base di un’uniformazione ai suoi principi, dettati dall’agenda del momento. Tutto si svolge nei perimetri del permesso, dove niente è possibile. Gli editori, anche gli indipendenti, sono tutti più o meno coinvolti. Sanno benissimo che devono tarare la loro linea editoriale sui vincoli dell’accettabile, per avere il pass dello Stato, anche quando questo gioca a stare dalla parte del torto, occupando pure lì tutti i posti a sedere. È per questo che conviene uscire. Perché il buffet è finito, e i posti assegnati sia alla ragione che al torto sono tutti occupati. Si può solo sragionare, depensare, disoccupare. Mettere il prefisso dis- davanti alla maggior parte dei verbi e separarsi dal mondo, sperando che nessuno bussi alla nostra porta con un bel bando per gli editori indipendenti.
Entrare il libreria ti disorienta, ti atterrisce, ti snerva? Non ne puoi più delle colonnine con le novità sempre uguali di Panza, Cazzullo, Baricco? Delle fascette iperboliche? Degli incensamenti ingiustificati? Di libri già scaduti? Basta con il previsto, il già detto, il già scritto, il già venduto. Fai un salto nell’ignoto. Abbonati a Geminga, la collana che non esiste. Otto libri l’anno. Inediti. A scatola chiusa. Non vi riveleremo titoli né autori.
Incontri/scontri a margine di PLPL
1. E poi c’è Cattelan. Siamo andati a trovare il Billy Elliot dell’editoria italiana, ed era impegnatissimo a firmare le copie di libri che non ha scritto, come se la sua firma fosse una garanzia di qualcosa. «Spostati un po' e fammi vedere il film» con questa battuta sardonica Dino Risi sintetizzava tutto il cinema di Nanni Moretti, e la stessa battuta possiamo applicarla alla casa editrice di e poi c’è Cattelan. Spostati, leva il selfiestick e facci vedere i libri. Visto che firmava frontespizi a casaccio gli abbiamo portato il nostro Manifesto contro l’editoria. Lo guarda, ci guarda, rimane un po’ interdetto, dice di averlo già letto e di aver letto anche la nostra newsletter di qualche tempo fa. Ci firma il manifesto, leggermente infastidito, dicendo che noi scriviamo le cose senza sapere. Questo è vero. Una volta autografato lo ringraziamo di sostenere la nostra battaglia contro l’editoria. Lui dice che non sostiene ciò che non conosce. Vestiamo i panni dei sindacalisti cagacazzi e lo invitiamo ad informarsi sulle pessime condizioni contrattuali che i distributori impongono agli editori. Alzata di spalle. Lo invitiamo a dibattere su questo tema. Alzata di spalle. Non gliene frega niente, giustamente. Lasciamo lo stand, torniamo nel cono d’ombra dell’indifferenza. Dietro di noi riprendono i selfie. E poi c’è Cattelan. (Malgrado l’offesa ci ha regalato un suo libro con la speranza di allontanarci, abbiamo chiesto a un passante di firmarlo).
2. Più sportivo invece Diego Bianchi detto Zoro, erbimbodeoro de’ ‘a sinistra concertone coinquilini a quarant’anni ajo e oljo. Sono un paio di giorni che fa le ronde intorno allo stand. Gli avevamo dedicato un’intervista impossibile tempo fa. L’ultima giorno si avvicina. Lo guardiamo. Ci guarda. Noi sospettiamo che lui sappia. Lui sa che noi sospettiamo che lui sappia. E finisce lì, perché siamo al quinto giorno di fiera e a sapere che lui sa che noi sospettiamo che lui sappia non ci arriviamo. Quindi diciamo, Ciao! Ha letto un paio dei nostri libri. Sulla newsletter se la ride. Pensavamo fosse il classico rosicone di Testaccio. Invece è meglio di e poi c’è Cattelan.
La tanto attesa intervista impossibile a Maura Gancitano e Andrea Colamedici, in arte Tlon
i veri vincitori morali della fiera Più Libri Più Liberi, con una decina di incontri presenziati e/o moderati.
Ciao Andrea, ciao Maura. Come state?
M: Bene, dai, un po’ stanchi.
Beh direi, avete partecipato a 72 incontri a Più Libri Più Liberi…
M: Sì è uno dei nostri risultati migliori… l’anno scorso eravamo arrivati a 53. Per il 2024 vogliamo sfondare la soglia dei 100.
Un grande traguardo, complimenti…
A: La cosa di cui andiamo più fieri però è la pubblicazione delle oltre 15mila ore di storie su Instagram in questi 5 giorni.
Ellapeppa!
A: Sì, ho fatto un calcolo e sono di più delle ore che ho realmente vissuto.
Splendido, ma mi chiedevo una cosa. Mentre parliamo in questa simpatica intervista impossibile, state allo stesso tempo facendo uno streaming sull’educazione sessuale negli asili nido. Come fate a rispondere a me e contemporaneamente a tenere un convegno su un tema così delicato?
A: Semplice [Andrea si volta] abbiamo un’altra faccia dietro la testa. E alle nostre spalle facciamo lo streaming.
Ah… ecco, non capivo. Fa un po’ senso.
A: Io la chiamo deformazione professionale.
Chiaro. E anche tu Maura?
M: Sì, anche io ho un’altra faccia ma purtroppo la mia è sotto il piede. È per questo che sto in questa posizione scomodissima per fare la diretta.
Ah capisco. Che ingiustizia però…
A: Per me è colpa del patriarcato.
È possibile, è possibile.
A: Forse è anche per colpa di Onlyfans. I piedi stanno prendendo coscienza. Coscienza di calze.
M: Ahahha Andrea, il tuo marxismo è spudorato.
Adorabile. Non mi è chiaro però come fate a conciliare alcuni dei vostri core business – la lotta alla performatività, alla società dell’efficienza – con l’essere poi performativi ed efficientissimi al massimo. Producete contenuti in continuazione, siete a 15 eventi contemporaneamente, parlate di temi che comprendono tutto lo scibile umano e postumano, dalla paleontologia alla guerra in Ucraina, dalle disuguaglianze di genere ai generali dietro la collina.
A: Io la chiamo deformazione professionale
Mi pare giusto. Ma cos’è questo odore sgradevole?
A: Niente niente. Apri la finestra Maura.
È una puzza insopportabile. Andrea… hai scorreggiato?
A. Io la chiamo fioritura personale.
Cosa è successo a Junkopia?
Domenica 10 dicembre dalle 17.00 alle 21.00 abbiamo introdotto la rassegna di dieci incontri a cura Gog negli spazi del @Contemporarycluster che si svolgeranno fino al 2 giugno. Nella prossima newsletter pubblicheremo il programma ufficiale.
E a brevissimo sul nostro canale Youtube la prima #Iperteca. Vi manderemo una mail a parte quando sarà disponibile.
L’opinione corrente di solito si pavoneggia con un’enfasi da opinione insolita.
Nicolás Gómez Dávila, Escolios