#1| Addio al mondo
Siamo fuori dal circuito Isbn, dalla distribuzione, dalla librerie di catena e da Amazon. Ma adesso abbiamo una newsletter.
Siamo usciti. È finita. Addio distribuzione, promozione, addio librerie di catena, Amazon, Ibs & Co. Finalmente liberi, ma liberi da cosa? Da un sistema paramafioso che in questi giorni, in concomitanza con il Bookpride, abbiamo cercato di raccontare sui social. Quello che per tre anni ci ha visto elargire percentuali immonde delle nostre vendite ad attori che non hanno niente a che vedere con il mondo dell'editoria e della cultura. Si tratta principalmente del Distributore (nel nostro caso Messaggerie), una megamacchina logistica sposta-cose che si trattiene fino al 40% del prezzo di copertina su ogni libro venduto. E non è che i libri te li chiede e te li compra, affatto, te li prende in prestito e se non li vende te li restituisce, senza pagarli. Come se il barista sotto casa a fine giornata restituisse i cornetti invenduti al libraio. Si chiama diritto di resa. E noi non ci vogliamo arrendere, perciò andatevene tutti a cagare, da oggi facciamo da soli, battiamo altri sentieri, cerchiamo altri lidi. Perché dovremmo scannarci infatti per partecipare a questa corsa folle? Per stare su Amazon, mummificati, pacchificati, nelle loro liste di proscrizione del cazzo dei libri più venduti, in preda a recensori improvvisati che si sentono Raboni? Oppure per stare nelle librerie di catena, in Feltrinelli, Mondadori, che se per sbaglio espongono i tuoi libri accanto ai libri degli influencer, dei tiktoker, dell'ultimo stronzo ammanicato con il giornalista che conta, o vicino all'ultimo vincitore del premio Strega, è solo per pulirsi la coscienza? Non ci interessa, non è questo il nostro mestiere, noi facciamo altro. Non vogliamo nutrire la megamacchina che ci impone di produrre sempre più titoli pur di avere un minimo di visibilità in libreria, perché solo le novità contano. Vogliono le novità, vogliono ingozzarsi di novità e le librerie diventano come dei supermercati, ogni giorno messe a soqquadro, in un turnover di prodotti. Che ci facciamo noi qui dentro, noi che vorremmo fare libri per l'eterno, non per il contingente, che cerchiamo di dare continuità al nostro catalogo, che vorremmo che ogni libro potesse durare per sempre e non il tempo della classifica del mese?
In questo manifesto d'intenti denunciamo questo sistema gestito da distributori avidi e indifferenti, alimentato da promotori ignoranti, smistato da librerie di catena ingorde, camuffato da mafiette culturali che si spartiscono le terze pagine dei giornali, da scrittori e giornalisti che si smarchettano a vicenda, da questi festival che nascondono dietro numeri gonfiati un evidente declino della qualità dell'offerta. Con questo manifesto, un'autopsia dell'editoria italiana e del nostro mondo culturale - dove non facciamo sconti a nessuno, neanche a noi stessi - mandiamo tutti affanculo e ci dichiariamo casa editrice indipendente, autonoma e clandestina, ma sul serio, non come le indipendenti che si atteggiano tanto e poi lasciano il 68% del prezzo di copertina ad Amazon (che indipendenza è?).
È cominciato come uno scherzo. Andiamo al @bookpride, una delle kermesse culturali più patinate che abbiamo in Italia, e portiamo un solo libro. Un manifesto contro l'editoria. Dove diciamo le cose come stanno, almeno dal nostro punto di vista. E diamo addosso a tutti, collusi, corrotti, compromessi con un sistema che fa finta di non essere nella crisi peggiore della sua storia. Che si ammanta di una patina morale quando in verità opera come una mafietta qualsiasi. Che invita i giovani a leggere, ad informarsi, ad acculturarsi, come se la roba che si pubblica oggi abbia in qualche modo a che fare con la cultura. Preferiamo giovani drogati a giovani lettori delle porcherie che sono in vetrina nelle librerie di catena. Non pensavamo, conoscendo la solita indifferenza che il settore riserva a tutto ciò che non lo adula, di suscitare qualche reazione. E invece siamo rimasti stupiti dall'entusiasmo con cui hanno accolto il nostro messaggio gli addetti ai lavori, i librai, i colleghi, i passanti. In due giorni abbiamo terminato le copie. Non è una rivoluzione, lo sappiamo, ma è una rivolta. È guerriglia, teppismo culturale, niente di più, soprattutto in un paese come l'Italia, dove si amano i ribelli e non le ribellioni. Ma noi non ambiamo a salvare niente e nessuno, né a fare gruppo con altri e fondare l'ennesima mafietta o cartello. Noi vorremmo che tutto esploda il più velocemente possibile, che le catene chiudano, che i consigli di amministrazione delle grandi case editrici spingano talmente tanto sull'acceleratore della pubblicazione di minchiate che alla fine nessuno leggerà più - come già sta succedendo. A quel punto si tornerà a scoprire davvero le piccole librerie, a vedere cosa c'è dentro, a curiosare, a lasciarsi rapire da un titolo di cui non sapevamo nulla. Quando non ci sarà più il baccano mediatico, le marchette, gli incensamenti iperbolici, la sovrapproduzione di titoli pur di mandare avanti la baracca. Quando sui libri, insomma, tornerà il silenzio.
Quale alternativa?
Non ci sono business plan, non c'è piano B, non abbiamo i finanziamenti del Mibact, si naviga a vista. Però qualche idea ce l'abbiamo. Al momento i nostri libri si troveranno soltanto sul nostro sito, ai nostri incontri e in quelle librerie indipendenti che vorranno avere un rapporto onesto e diretto con noi. È ancora il tempo della guerriglia e non quello della rivoluzione. Nel frattempo rinserriamo i ranghi, ci contiamo, capiamo quanti siamo a nutrire questa insofferenza per un sistema che, con la scusa di promuovere la cultura, sta in realtà affossando le uniche realtà (librerie indipendenti e piccoli editori) che innovano veramente il settore attraverso un lavoro basato sulla selezione, la cura, la pazienza, la lentezza.
Sei un libraio e vuoi i nostri titoli?
scrivici a info@gogedizioni.it
Prima di noi
Mario Guaraldi ha fondato la propria casa editrice – la Guaraldi, appunto – nel 1971, ed è stato uno dei pochi, rari, avventati, avveniristici pensatori per una nuova forma di editoria. Tra i primi a denunciare lo strozzinaggio del sistema distributivo pressoché monopolistico, la cospirazione dei grossi poli editoriali, nati per affossare o tenere sotto ricatto la piccola e media editoria, l’iniquità del marchio ISBN, la corruzione dei premi nostrani, la patente incapacità degli scrittori nostri di evadere da un narcisismo di palta, vergognoso, che fa di un autore una pecora, creatura perennemente sotto tiro, ricattabile. Ecco una sua eccepibile analisi del ricatto della Distribuzione.
Il mondo del commercio librario è dominato dalla figura del Distributore. I casi sono due: o l’Editore è sufficientemente grande per permettersi una propria rete commerciale (com’era il caso della Sansoni, o di Mondadori, Rizzoli ecc.) più o meno estesa territorialmente; oppure deve affidarsi ad un distributore terzo. […] Chi non conosce le Messaggerie Italiane? Luciano Mauri, il geniale Amministratore Delegato che diresse Messaggerie per un quarantennio, era un mio amico-nemico: con lui facevamo discussioni feroci, anche perché aveva passato la sua giovinezza a Rimini, cui era rimasto legatissimo a causa di un comune amico, mio Notaio di fiducia. Il Distributore, rimproveravo a Mauri, soprattutto se in regime di quasi monopolio come è stato a lungo il Gruppo Messaggerie, è in realtà come un “mega-editore” che distribuisce e lucra – fino al 55-60% sul prezzo di copertina imposto! – sulla totalità dei titoli affidatigli in Conto Deposito con contratto di tipo estimatorio e messi in circolo per suo conto. Per il Distributore poco importa quale Editore abbia “marcato” in copertina il singolo titolo e ancor meno importa quale titolo conquisterà la preferenza di librai e lettori: vale solo la legge statistica dei grandi numeri: “Per te, gli dicevo, l’unica cosa che conta è il fatturato complessivo che ricavi dall’insieme dei titoli distribuiti...”. Per conquistare l’auspicato “traguardo” di vendita, i piccoli e medi Editori distribuiti si scannavano per garantire alla propria produzione la massima visibilità presso i Librai: dovevano stilare delle appetibili “Schede Novità” e convincere preliminarmente i “Promotori” del Distributore nelle periodiche riunioni di presentazione. Fatica sprecata: i poveri venditori, una manciata di professionisti (oggi quasi del tutto estinti) costretti a viaggiare in continuazione per visitare le Librerie della vasta “zona” loro affidata, guardavano desolati le centinaia di schede stipate nei loro “copertinari”. E si arrangiavano come potevano: offrendo il caffè al Libraio per convincerlo a prendere una tredicesima o compilando “d’ufficio” il buono d’ordine per stare all’obbiettivo di vendita ricevuto... Tanto, c’era il “Diritto di Resa”! Mi manca il fiato solo a pensare quanto ho urlato contro questo letale (e in realtà inesistente) Diritto, gravido di conseguenze nefaste, frutto solo dell’ambigua e alla fine perversa logica con cui i Distributori regolavano – freno e acceleratore – i loro flussi finanziari con le librerie! […] Ho definito, parafrasando le transazioni bancarie, “camera di compensazione” questa attività occulta del Distributore. La libreria, del resto poteva sempre riordinare, l’indomani, i libri appena virtualmente resi! L’affermazione di questa logica puramente “finanziaria” dei flussi di andata e ritorno dei libri, finì con lo stravolgere l’intero sistema. Non riuscivo a capire perché non si potesse “disambiguare” il mercato del libro ritornando al sano concetto di doppia modalità di vendita del libro: “in conto assoluto senza diritto di resa” con sconto maggiorato; e “in conto deposito” con rendiconti semestrali e sconto inferiore per i libri su cui il libraio non intendesse investire. In realtà lo capivo benissimo: col sistema della “resa” il Distributore giocava alle tre carte con i singoli editori distribuiti e i suoi rendiconti mensili erano tutti costruiti ad arte. L’editore infatti, con questo sistema, non sapeva mai quanto aveva realmente venduto di quel titolo, anzi non sapeva con certezza neppure quanto questo fosse stato realmente distribuito! […] Questo meccanismo è tuttora la causa di quel fenomeno che ho definito di “bulimia” produttiva: si tende a produrre sempre di più per generare finto fatturato, gonfiato espressamente per compensare quanto più possibile, almeno sul medio periodo, le rese contabilizzate. Detto in parole povere: i libri stampati in più servivano a pagare quelli invenduti dei mesi precedenti... Erano “carta-moneta” inflazionistica. Capacità di controllo: zero, trasparenza: nulla, un perenne cappio al collo.